Quella
della prima guerra mondiale, la “Grande Guerra”, fu
sicuramente la storia più tragica che ancora oggi si possa
ricordare tra le storie dei moderni conflitti tra i popoli. La
letteratura, sin dalla cessazione delle ostilità, si è
ampiamente occupata dell’evento sotto i suoi molteplici aspetti
tanto che è pressoché impossibile contare quanti siano stati i
testi che nel corso degli anni ne hanno trattato, a vario titolo,
le vicende.
La
situazione politica europea precedente la guerra vedeva
contrapposti due grandi blocchi, la “Triplice Alleanza” (con
Germania, Austria-Ungheria e Italia) e la “Triplice Intesa”
(con Francia, Inghilterra e Russia), ognuno formato da nazioni che
covavano sentimenti di odio e di voglia di egemonia verso gli
avversari dell’altro blocco.
La
situazione era ormai pronta ad esplodere da un momento all’altro
e l’occasione fu offerta dall’uccisione avvenuta il 28 giugno
1914 a
Sarajevo del principe ereditario austriaco Francesco Ferdinando e
della moglie per mano dello studente serbo Princip.
L’Austria
accusò
la Serbia
di complicità nell’omicidio e le inviò un’ultimatum con
condizioni inaccettabili, dopodichè il 28 luglio le dichiarò
guerra. In aiuto della Serbia accorsero
la Russia
e
la Francia
, mentre
la Germania
si schierò a fianco dell’alleata Austria. Aveva così inizio il
grande incendio che avrebbe divampato in Europa e nel mondo.
Allo
scoppio della guerra, l’Italia si dichiarò neutrale e non prese
parte al conflitto a fianco delle potenze della Triplice Alleanza.[1]
Nel paese si andarono formando due correnti: la “neutralista”
e quella “interventista”; in tutte, però, era alto il
desiderio di poter unire all’Italia i territori irredenti di
Trento e di Trieste posseduti dall’atavico nemico che era
l’Austria. La maggioranza degli italiani era più propensa alla
neutralità perché riteneva che la pace era necessaria al paese
per progredire ed inoltre si poteva arrivare ad ottenere il
Trentino dall’Austria attraverso trattative diplomatiche. Gli
interventisti, invece, sostenevano che soltanto partecipando
attivamente avremmo potuto riscattarci ed avere ciò che ci
spettava.[2]
Antonio
Salandra (Capo del Governo) e Sidney Sonnino (Ministro degli
Esteri), mentre si preparava l’intervento, iniziarono degli
approcci diplomatici sia con gli Imperi Centrali che con
la Francia
e l’Inghilterra allo scopo di ottenere promesse soddisfacenti
per il completamento dei confini nazionali. Le trattative si
conclusero nell’aprile 1915 con il Patto di Londra che impegnava
l’Italia a dichiarare guerra all’Austria in cambio, a guerra
finita, di notevoli compensi. Ma il Parlamento italiano era per la
maggior parte neutralista tanto da costringere il Salandra,
favorevole all’intervento, alle dimissioni. Gli interventisti,
allora, organizzarono ovunque incandescenti dimostrazioni di
piazza[3]
tanto che il Re, nella fiducia di interpretare la volontà della
nazione, richiamò al governo il Salandra e dichiarò guerra
all’Austria (24 maggio 1915).
L’Italia,
a questo punto, “entra in scena”sul triste palcoscenico dove distruzione e morte regneranno
sovrane per interi anni.
Questa,
che fu sicuramente la guerra della fanteria, vedeva il nostro
esercito ancora impegnato a riorganizzare i suoi reparti molti dei
quali nascenti dall’eredità dei corpi militari degli stati
annessi con l’Unità. I vecchi reparti dello stato sabaudo
vennero gradualmente rinumerati ed inquadrati in brigate di due
reggimenti che mantenevano gli antichi nomi geografici che quasi
sempre ne contraddistinguevano la sede originaria. Le sedi
reggimentali furono distribuite su tutto il territorio nazionale
ma la gran parte di esse furono mantenute nei pressi dei confini
con
la Francia
perché in quel periodo si pensava che da lì potessero arrivare i
maggiori pericoli per la nazione.
Accanto
all’Esercito Permanente (che raggiungeva nel periodo precedente
la guerra la forza di 47 brigate di fanteria, pari a 94
reggimenti) si era creata la cosidetta Milizia Mobile, cioè una
forza di riserva che poteva essere impegnata in caso di
mobilitazione con una forza di altre 26 brigate di fanteria, pari
a 52 altri reggimenti. I Distretti Militari avevano il compito
della leva e del reclutamento, mentre la vestizione, l’armamento
e l’addestramento erano compiti delle sedi reggimentali.
Dal
punto di vista politico il problema del reclutamento era molto
dibattuto e come tutte le cose “all’italiana” vedeva
contrapposte due scuole di pensiero. La prima reputava opportuno
procedere ad una forma di reclutamento nazionale perché solo così
avrebbero avuto modo di amalgamarsi i giovani provenienti da
diverse parti della nazione appena formata e tanto diversi tra
loro che spesso non riuscivano nemmeno a capirsi a causa dei
diversi dialetti parlati. La seconda propendeva per un
reclutamento regionale o territoriale che avrebbe portato alla
formazione di reparti omogenei per cultura e lingua parlata. La
classe politica era favorevole alla leva nazionale, mentre i
militari avrebbero preferito quella territoriale.
Nel
periodo di pace si optò per la leva nazionale ed ogni reggimento
doveva attingere in parti uguali agli arruolati di cinque
distretti militari diversi, appartenenti ad altrettante zone
militari, così da avere dei reparti con truppe provenienti da
tutto il territorio nazionale.
Con
la mobilitazione il nostro esercito si trovò in una condizione di
carenza di organico, che prevedeva l’assoluta necessità di
chiamare alle armi i corpi della riserva onde raddoppiare gli
organici esistenti.
Nella
formazione dei nuovi reparti si abbandonò il metodo della leva
nazionale in quanto avrebbe rappresentato un’impaccioa causa dello spostamento di una così gran massa di uomini
e nel contempo avrebbe permesso un notevole risparmio proprio
sulle spese di viaggio.
Alla
costituzione delle nuove unità di Milizia Mobile dovevano
provvedere i Depositi Reggimentali (o centri di mobilitazione)
situati nella stessa regione dei distretti ai quali appartenevano
i militari.
Tra
le 25 brigate di nuova formazione ci fu appunto
la Brigata Catanzaro
, costituita dal 141° Reggimento di Fanteria e dal 142°. Il 14
gennaio 1915, presso il deposito del 48° Rgt. Fanteria, a
Catanzaro Marina nasceva il 141° Reggimento FanteriaMilizia Mobile, mentre il 142° si formò dal deposito del
19° Rgt. Fanteria, a Monteleone di Calabria (attuale Vibo
Valentia).
Il
1° marzo 1915,
la Brigata
prese vita a Catanzaro Marina e da «Catanzaro» ne prese il nome.
Ebbe assegnate come mostrine i colori rosso e nero, colori che
stanno ad indicare “sangue e morte” e da essi sorse il motto,
mai smentito, «Sanguinis mortisque colores gestamus: ubique
victores» e cioè «Portiamo i colori del sangue e
della morte: ovunque vincitori».
Il
141° Rgt. ebbe una prevalente fisionomia calabrese poiché
calabresi erano la maggior parte degli elementi che lo
costituivano.[4]
Questo reggimento, nato nell’imminenza della guerra, fu
impegnato per oltre due anni sul fronte più duro, quello del
Carso, con la sola eccezione di due brevi parentesi, ad Oslavia,
in un periodo particolarmente critico del primo inverno di guerra,
e sull’Altipiano d’Asiago, nel momento culminante della Strafexpedition.[5]
La sua vicenda di guerra, che ne vide la bandiera decorata di
medaglia d’oro al valor militare già nella primavera del 1917,
è segnata dalla drammatica pagina della rivolta di luglio di
quell’anno, chiusa la quale i suoi fanti tornarono a battersi
con il valore di sempre, al punto di meritare la citazione sul
bollettino di guerra.
La
sua storia fu tragica e gloriosa insieme. Un reggimento senza
tradizioni, che dopo la guerra sarebbe scomparso
dall’ordinamento dell’esercito, per tornare a figurare
fugacemente soltanto tra il 1940 ed il 1941 e poi ancora tra il
1975 ed il 1995,[6]
è stato sempre protagonista degli eventi bellici e sicuramente è
rappresentativo del sacrificio e della gloria della fanteria
italiana. I suoi uomini non furono eroi omerici né cavalieri
senza macchia e senza paura e, quantunque probabilmente non
avessero mai sentito parlare di Trento e di Trieste, fecero sempre
e comunque il proprio dovere uscendo vincitori, insieme con i loro
commilitoni, dall’aspra contesa con un esercito che vantava una
storia di lunga data.
La
fase di preparazione dei reparti risentiva comunque di carenze sia
di organico che di armamenti ed emblematica era la mancanza di
quelle sezioni mitragliatrici che ognireggimento doveva avere.[7]
La Brigata Catanzaro
all’atto della mobilitazione del 24 maggio 1915 fu dapprima
inquadrata nelle truppe a disposizione del Comando Supremo poi,
dopo pochi giorni, fu inviata in Friuli dove fu inquadrata in
quella Terza Armata che in seguito ebbe l’appellativo di
“Armata del Carso” e che si gloriava di obbedire agli ordini
di Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d’Aosta.
Adolfo
Zamboni, glorioso ufficiale del 141° di origine ferrarese, nei
suoi scritti decantò le doti umane e di combattenti dei calabresi
per come egli stesso ebbe modo di conoscerli, ma non mancò di
sottolineare le difficoltà che gli stessi riscontravano nei
rapporti interpersonali.[8]Ne dipinse un profilo molto attento e preciso con frasi
accorate che soprattutto oggi, che ancora si assiste ad una forma
di razzismo strisciante e si sente parlare di “Repubbliche del
Nord”, dovrebbero essere incise a lettere d’oro nelle menti di
tutti gli italiani.
“Piccoli,
bruni, curvi sotto il peso del grave fardello, scesero alle
stazioni delle retrovie e si incamminarono verso le colline
Carsiche gli umili fantaccini della remota Calabria, la forte
terra dalle montagne boscose e dai clivi fioriti dove pascolano a
mille i placidi armenti. Chiamati lontano dalla Patria in armi,
questi poveri figli di una regione abbandonata lasciarono le loro
casette sperdute tra i monti, abbandonarono i campicelli e le
famiglie quasi prive di risorse e vennero su nelle ricche contrade
che il nemico mirava dall'alto, bramoso di conquista e di strage.
Percorsero tutta la penisola verdeggiante e sostarono nelle
trincee scavate nella roccia e bagnate di sangue.
Fieri
e indomiti, cresciuti nella religione del dovere e del lavoro, i
Calabresi non conobbero la viltà, non coltivarono nell’animo
gagliardo il germe della fiacchezza: alla Patria in pericolo
consacrarono tutta l’energia dei loro rudi cuori, tutto il
vigore delle floride vite. Apparivano selvaggi, ed erano pieni
d’affetti nobilissimi; sembravano diffidenti, ed aprivano tutto
il loro animo a chi sapeva guadagnarsi il loro amore;
all’ingenuità ed al candore quasi puerili univano il coraggio e
la risolutezza dei forti. Un piccolo servigio, una cortesia usata
loro, ve li rendeva fedeli fino ad affrontare per voi con
indifferenza il pericolo.
I
compagni d’arme delle regioni del Nord, dividendo un vecchio
pregiudizio, per il quale i fratelli dell’Italia inferiore erano
considerati alquanto retrogradi e selvaggi, guardarono da
principio con una certa noncuranza sdegnosa quei soldatini dalla
parlata tanto diversa e così schivi di convenzioni; «terra mata»
e «terra da pipe» erano gli appellativi che talvolta
scherzosamente venivano indirizzati ai modesti gregari nati e
cresciuti nelle terre del meridione. Però, quando la fama
incominciò a diffondersi e a divulgare il loro valore e la loro
audacia; quando si videro quei forti campioni muovere decisamente
e costantemente all’assalto sanguinoso di posizioni
inespugnabili; quando infine seppe l’ecatombe offerta dal popolo
dell’Italia negletta, allora in tutto il Paese nostro si levò
una voce concorde di ammirazione e di plauso e si benedirono
quelle coorti di giovani dalla salda fede e dal fervido
entusiasmo”.
Numerosissime
furono le località che videro in azione i Reggimenti della
Brigata “Catanzaro”, ma, sicuramente, una menzione particolare
la merita il Monte Mosciagh. Questo monte fu scenario di aspre
lotte nelle quali
la Brigata
fu decimata,[9]
e legò indissolubilmente il proprio al nome del 141° dopo
l’operazione del 27 maggio 1916. La stessa si svolse in un
momento molto difficile del conflitto eportò il 141° Fanteria agli onori della cronaca ed ebbe
eco in tutta la nazione.
I
nostri fanti recuperarono alcuni pezzi d’artiglieria da una
posizione ancora tenuta dagli Austriaci sulla vetta della
montagna, e dopo circa due ore di attacchi alla baionetta,
riuscirono a cacciare definitivamente il nemico dalle posizioni
iniziali conquistandone in definitiva anche l’armamento.
L’episodio
meritò la seguente citazione sul Bollettino di Guerra del 29
maggio 1916 n.369a
firma del Gen. Cadorna: “Sull’altopiano di Asiago, le
nostre truppe occupano attualmente, affermandovisi, le postazioni
a dominio della conca di Asiago. Un brillante contrattacco delle
valorose fanterie del 141° reggimento (Brigata Catanzaro) liberò
due batterie rimaste circondate sul M. Mosciagh, portandone
completamente in salvo i pezzi”. La cosa fu ripresa dalla
stampa nazionale dell’epoca tanto da meritare la prima pagina
sulla Domenica del Corriere che con una bella illustrazione di A.
Beltrame fece conoscere all’Italia intera come “Un
brillante contrattacco dei valorosi calabresi del 141°
fanteria libera due batterie rimaste circondate sul monte Mosciagh”.
Da
questo glorioso fatto d’arme il 141° ne trasse quello che da
allora fu il suo motto: «Su MonteMosciagh la baionetta ricuperò il cannone».
Tra
le pagine della storia della Brigata Catanzaro, però, ve ne sono
alcune tra le più tristi dell’intera storia del nostro
esercito. Era il 27 maggio del 1916 e
la Brigata
era stata trasferita da alcuni giorni sull’Altopiano di Asiago.
I tragici avvenimenti che culminarono con la fucilazione di 12
militari si svolsero sulle pendici del Mosciagh e furono la
conseguenza dello sbandamento in condizioni difficili di quasi
tutta la 4a compagnia del 141°. Il Col. Attilio
Thermes, comandante del reggimento, in ottemperanza alle
disposizioni emanate dal Comando Supremo, ordinò l’esecuzione
sommaria senza processo per un sottotenente, tre sergenti ed otto
militari di truppa da estrarre a sorte nella ragione di uno a
dieci. Per questo ordine il Col. Thermes fu il primo ufficiale
italiano ad essere citato in un Ordine del giorno del Comando
Supremo[10]
e questo non per un glorioso fatto d’arme ma per aver fatto
fucilare i propri soldati! In realtà la brigata si comportò
piuttosto bene nei combattimenti di quei difficili giorni e non
meritava un tale trattamento, dovuto in buona parte al fatto che i
successi austro-ungarici facevano perdere la testa ai comandi.
Questo
episodio, comunque non intaccò il morale della Brigata che
continuò sempre e comunque a fare il proprio dovere tanto che
S.M. il Re, con decreto del 28 dicembre 1916, concesse motu
proprio alla bandiera del glorioso 141° Reggimento
la MEDAGLIA D
’OROal valor
militare con questa motivazione: «Per l’altissimo valore
spiegato nei molti combattimenti intorno al San Michele, ad
Oslavia, sull’Altopiano di Asiago, al Nad Logem, per l’audacia
mai smentita, per l’impeto aggressivo senza pari, sempre e
ovunque fu di esempio ai valorosi(luglio 1915 – agosto
1916)».[11]Anche la bandiera del 142° ebbe la sua meritata decorazione
con la concessione della Medaglia d’Argento al valor militare.[12]
Diversi
mesi dopo, i soldati dei due reggimenti della Catanzaro furono
protagonisti della più grave rivolta nell’esercito italiano
durante il conflitto. Questo triste episodio si svolse a Santa
Maria
La Longa
dove la brigata era stata acquartierata a partire dal 25 giugno
1917 per un periodo di riposo. La notizia di un nuovo reimpiego
nelle trincee della prima linea fece, pian piano, montare quella
che in poche ore sarebbe diventata una vera e propria rivolta. I
comandi, avendo avuto notizia da informatori di quanto doveva
accadere fecero infiltrare nei reparti alcuni carabinieri
travestiti da fanti e si era disposta la dislocazione di più di
cento carabinieri nelle immediate vicinanze. Alle ore 22 del 16
luglio 1917 iniziò il fuoco che durò tutta la notte. I caporioni
di ogni reggimento assaltarono i militari dell’altro inducendo
gli stessi ad ammutinarsie
ad unirsi a loro. Molti caddero morti sotto il fuoco dei
rivoltosi, altri ne rimasero feriti. Appena il Comando d’Armata
ebbe notizia di quanto stava avvenendo dispose le opportune
contromisure inviando sul posto altri carabinieri su autocarri,
quattro mitragliatrici, due autocannoni e con il preciso ordine di
intervenire in modo fulmineo e con estremo rigore. La lotta durò
tutta la notte e cessò all’alba dopo l’intervento degli
ufficiali della brigata e dei carabinieri con mitragliatrici ma,
soprattutto, dopo l’arrivo ed il posizionamento degli
autocannoni. Sedici militari presi ancora con l’arma scottante
furono immediatamente condannati alla fucilazione. A questi
avrebbero dovuto aggiungersi altri 120 uomini, ma per limitare le
fucilazioni si dispose di procedere al sorteggio del decimo di
essi e, quindi, altri 12 si andarono ad aggiungersi alla lista. I
28 militari furono fucilati immediatamente nel cimitero di Santa
Maria, alla presenza di due compagnie, una per ciascun reggimento.
Dopo
questo spiacevole fatto, i fanti della Catanzaro intrapresero la
loro marcia verso il fronte dove continuarono a battersi per il
resto del conflitto con la grinta e la disciplina che avevano
sempre dimostrato, tanto da ottenere una seconda citazione sul
Bollettino di Guerra del 25 agosto 1917 nel quale si riportava
che: “Sul Carso la lotta perdura intorno alle posizioni da
noi conquistate, che il nemico tenta invano di ritoglierci.
Negl’incessanti combattimenti si distinsero per arditezza e
tenacia le Brigate Salerno (89° - 90°), Catanzaro (141° -142°)
e Murge (259° e 260°)”.
Gli
ultimi mesi della guerra furono trascorsi dallo stremato 141°
nelle retrovie del Piave, a disposizione del Comando Supremo, dove
in ottobre si incominciò a trasferire ed attraverso una serie di
marce raggiunse Mestre nei giorni della vittoria.
Tutta
la Brigata Catanzaro
si imbarcò a Venezia sulla nave “Re Umberto” il 15 novembre
1918 ed il 17 successivo sbarcò in una Trieste festante. La meta
radiosa dei suoi cruenti sacrifici era raggiunta.
Per
oltre un anno il 141° ne rimase a presidiare la città, ospitato
nella caserma “Oberdan”, fino a quando venne disciolto. Il 21
giugno 1920, nella caserma “Cernaia” di Torino, il cappellano
militare Can. Chelli salutò con un appassionato discorso
l’amata bandiera che i fanti baciarono ad uno ad uno, con le
lacrime agli occhi. Il glorioso vessillo, adorno del più alto
segno al valor militare, si inchinò l’ultima volta davanti alla
tomba del Milite Ignoto e fu collocato “là dove si conservano
le più fulgide reliquie della Patria”.[13]
Lo scioglimento del Reggimento, però non cancellò il ricordo
delle gesta dei suoi uomini, e lo stesso Duca d’Aosta ebbe modo
qualche anno più tardi di dire: “… ho sempre nel cuore
questa magnifica legione di prodi che dalla terra di Calabria
trasse la tenacia e l’anima pugnace”.
A
conclusione, è doveroso rivolgere l’ultimo ricordo
all’impegno di tutti i calabresi di ogni arma e specialità che
contribuirono in modo determinante alla vittoria finale.
Nell’immane tragedia della Grande Guerra ne perirono 20.046.
Fino all’anno 1923, le medaglie al valore militare individuali
concesse ai calabresi ammontavano a 2.884, così distinte:
12 M
.O.,
980 M
.A.,
1.565 M
.B., 8 croci militari di Savoia, 319 croci di guerra al valore;
delle quali
1.711 a
ufficiali e
1.173 a
sottufficiali, graduati e militari di truppa. Le medaglie d’oro
erano equamente distribuite tra le 3 antiche provincie calabresi.
Altre
decorazioni furono concesse alle bandiere di Reggimenti mobilitati
nei Depositi della regione calabrese, con militari in buona parte
nati in Calabria.
Oltre
a quelli della Brigata “Catanzaro” (141° Rgt. Medaglia
d’Oro e 142° Medaglia d’Argento),possiamo ricordare quelli della “Brescia” (19° e 20°)
che ebbero due M.A. ciascuno; quelli della “Ferrara” (47° e
48°) che furono decorati entrambi della M.O.; quelli della
“Udine” (95° e 96°) che ebbero entrambi una M.A.; quelli
della “Jonio” (221° e 222°) che ebbero
la M.B.
e quelli della “Cosenza” (243° e 244°) che ebbero
la M.A
.
A
tutti loro deve andare il nostro ringraziamento per aver tenuto
alto il nome delle “Genti di Calabria” ed aver vinto, oltre
alla guerra dichiarata, anche quella non dichiarata (e per questo
non meno importante) dei pregiudizi che da sempre affliggevano i
calabresi ed i meridionali in genere.
BIBLIOGRAFIA:
Basilio Di Martino, La Grande Guerra della Fanteria 1915-1918, Gino Rossato Ed., Valdagno,
2002.
Adolfo
Zamboni, Fasti della Brigata Catanzaro – Il 141° Reggimento
Fanteria nella Grande Guerra, Guido Mauro Ed., Catanzaro,
1933.
Roberto
Mandel, Storia popolare illustrata della grande guerra
1914-1918 – Parte Terza: L’anno d’angoscia (1916), Armando
Gorlini Ed., Milano, 1933.
Roberto
Mandel, Storia popolare illustrata della grande guerra
1914-1918 – Parte Quarta: L’anno terribile (1917), Armando
Gorlini Ed., Milano, 1934.
Marco
Pluviano-Irene Guerrini, Le fucilazioni sommarie nella prima
guerra mondiale, Paolo Gaspari Ed., Udine, 2004.
Salvatore
Pagano, Le Medaglie d’Oro calabresi, Stab. Tipografico
“
La Giovane Calabria
”, Catanzaro 1923.
Attilio
Gallo Cristiani, Guerrieri ed eroi nazionali di Calabria,
Tip. F.Chiappetta, Cosenza, 1949.
Luigi
Amedeo de Biase, Le cartoline delle Brigate e dei Reggimenti di
fanteria nella guerra 1915-1918, Ufficio Storico dello Stato
Maggiore dell’Esercito, Roma 1993.
La Domenica del Corriere
(supplemento illustrato del Corriere della Sera),
Anno XVIII n.24 (11-18 Giugno 1916).
NOTE:
[1]
Questa, che era un’alleanza di tipo difensivo, impegnava gli
stati aderenti ad accorrere in difesa degli alleati in caso di
attacco da parte di altre nazioni, ed inoltre l’Austria a
non provocare mutamenti nella penisola balcanica senza il
consenso italiano. Invece, fu proprio l’Austria a dichiarare
per prima guerra alla Serbia ed il tutto senza neanche
consultare l’Italia che, pertanto, si ritenne libera da
impegni e proclamò la sua neutralità.
[2]
Il capo dei neutralisti era l’ex capo del governo Giovanni
Giolitti, mentre tra gli interventisti spiccavano le figure di
Cesare Battisti e di Gabriele d’Annunzio.
[3]
Emblematica fu la partecipazione di Gabriele d’Annunzio adunadimostrazione
interventista che si svolse il 5 maggio
1915 a
Quarto dei Mille ove tenne un infuocato discorso a favore
dell’entrata in guerra dell’Italia.
[4]
La 1a,
2 a
,
3 a
e
4 a
Compagnia erano di Catanzaro, mentre l’8 a,
9 a
,
10 a
,
11 a
e
12 a
erano di Reggio Calabria. Massiccia fu anche la presenza di
siciliani e di pugliesi.
[5]
Sul fronte italiano del Trentino l’Austria preparò una
grande offensiva che coninsolenza
chiamò Strafe-Expedition, cioè spedizione punitiva, come se
volesse punirci per l’abbandono della Triplice Alleanza.
L’attacco, che fu preceduto da un infernale bombardamento di
grossi cannoni, vide in una prima fase il predominio degli
austriaci che sfondarono le linee italiane. Ma gli italiani
riuscirono a resistere e la successiva controffensiva fece
fallire l’attacco austriaco portando alla conquista di
Gorizia.
[6]
Nel 1940, i due reggimenti di fanteria denominati 141° e 142°
“Catanzaro”, insieme con il 203° Rgt. Artiglieria,
andarono a formare quella che fu la 63a Divisione
di fanteria “Catanzaro”.Il solo 141° fu ricostituito in seguito alla
ristrutturazione dell’esercito del 1° ottobre 1975,
inquadrato nella forza della Brigata Motorizzata (e poi
Meccanizzata) “Aosta” e dislocato presso la caserma
“Cascino” di Palermo.
[7]
Per ogni reggimento erano previste tre sezioni mitragliatrici.
I due reggimenti della Catanzaro ne avevano soltanto una a
testa. Non era diversa la situazione per gli altri reparti.
Solamente i due reggimenti granatieri erano al completo delle
tre sezioni previste, i 94 reggimenti di fanteria
dell’Esercito Permanente se ne dividevano
188, a
fronte di un’esigenza complessiva di 282, ed i 51 reggimenti
di Milizia Mobile ne avevano in tutto 12 su 153.
La Catanzaro
doveva quindi ritenersi più fortunata di altre brigate di
nuova formazione, ma come la storia ci dimostrò in seguito
non fu così: proprio
la Catanzaro
insieme con i granatieri furono tra i reparti maggiormente
impegnati nel corso del conflitto.
[8]
Il S.Ten. Zamboni si prodigò per fare sempre il suo dovere e
per farlo fare al meglio ai suoi uomini, per la gran parte
valorosi ma irrequieti contadini del Sud ("tirar fuori
una parola chiara da questi benedetti Calabresi era una
impresa disperata", scrisse), che trattava con
severità, ma a cui cercava anche, rincuorandoli ed
aiutandoli, di lenire i disagi interiori e a cui sapeva dare
fiducia e infondere sicurezza. Infatti, come testimoniato
anche dalle motivazioni delle decorazioni, egli sapeva come
guadagnarsi l'affetto e la fedeltà dei suoi soldati e come
farsi da loro obbedire.
[9]
Il Pagano, a proposito del Sottotenente Gaetano Alberti da
Mormanno (CS), una delle Medaglie d’Oro calabresi,
appartenuto al 142° Rgt. Fant. caduto il 26 luglio 1915 sul
Carso, così recita: “… egli vive nelle trincee del
Carso tra i suoi soldati, tra i fanti della Catanzaro, della
gagliarda Brigata Calabrese, che nella guerra immane si è
sbrandellata in carneficine cruenti ed in soste doloranti su
per i gironi infernali del Carso, in assalti superbi sul
Mosciagh conteso, preso e perduto, ripreso e riperduto e
riconquistato, baluardo orrendo ed ultimo, elevato dai petti
possenti dei Calabresi, alla travolgente offensiva austriaca
del Trentino nel
1916”. Altri atti di eroismo si svolsero in concomitanza di
azioni a stretto contatto con il 141°. Il Pagano ci riporta
il racconto di un altro calabrese insignito di Medaglia
d’Oro, il Maresciallo Maggiore Angelo Cusmano da Molochio
(RC), a proposito dell’operazione del giugno 1916 sul Monte
Lemerle che le valse la decorazione. L’eroe della Brigata
Forlì, nel ricordo di quanto successe, testimonia ancora una
volta il sacrificio dei fanti del 141°. Raggiunta la cima del
Monte Lemerle trovò uno dei battaglioni del 141° ridotto a
circa una compagnia impiegato a difendere una posizione resa
difficile dall’infiltrazione dei nemici. Trovò solo due
ufficiali: un Capitano affetto da dolori reumatici e impotente
a muoversi ed un Sottotenente ferito in modo non grave.
[10]«Addito ad
esempio -
si legge in un ordine del giorno del 22 giugno 1915 - il
colonnello del 141° fanteria Thermes cav. Attilio che la sera
del 26 maggio alle falde del monte Mosciagh non esitò a
prendere immediatamente le più energiche misure di rigore
contro alcuni sbandati che disertavano il loro posto
d’onore... Gli tributo perciò un encomio solenne che porto
a conoscenza di tutto l’esercito perché la sua energica ed
esemplare condotta sia d’incitamento a tutti...». È la
prima volta che Cadorna parla di un subordinato come di un
eroe, elogiandolo per aver fatto fucilare un sottotenente, tre
sergenti e otto soldati italiani!
[11]
Per l’eroismo dimostrato durante
la Grande Guerra
furono decorate di M.O. al valore militare le bandiere dei due
reggimenti granatieri e di 24 reggimenti di fanteria, tra i
quali per due volte quelli della Brigata Sassari. Soltanto
nove la ottennero però durante il corso delle operazioni e
tra questi vi fu il 141°.
[12]Alla bandiera del 142° Fanteria fu concessa
la M.A.
con la seguente motivazione: “Per il valore spiegato nei
combattimenti intorno a Castelnuovo del Carso e Bosco
Cappuccio; sull’altopiano di Asiago, al San Michele, nella
regione di Boschini e a Nad Logem; per lo spirito aggressivo e
l’alto sentimento del dovere sempre dimostrati (luglio 1915
– agosto 1916)”.
[13]
Nel museo dell’Altare della Patria, detto Vittoriano, a
Roma.
__________________
(*) Pubblicato su
“Calabria Sconosciuta”, Anno XXVIII n. 106 Aprile-Giugno
2005