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I CADUTI CANICATTINESI DELLA GRANDE GUERRA

La prima guerra mondiale segnò drammaticamente la vita dei canicattinesi. Non c'era famiglia, si può dire, che non avesse almeno un proprio caro sul fronte, e che quindi non vivesse nella quotidiana angoscia di essere raggiunta da ferali notizie. E apparivano spesso sulla stampa annunci come questo pubblicato sull'agrigentino Il Cittadino del 28 novembre 1915: "Un altro valoroso ufficiale deve segnare Canicattì nel libro d'oro dei suoi valorosi caduti sulle zolle irredenti. E' il sottotenente Calogero Bennici, dell'ingegnere Vincenzo. Educato alle virtù paterne il bravo giovane era circondato di stima e di affetto. Era già prossimo a compire gli studi e florido a lui sorrideva l'avvenire. Nel reggimento era tenuto in grande estimazione tanto da essere proposto aiutante di campo. Il comunicato ufficiale pervenuto al Sindaco annunziante la ferale notizia è caldo di espressioni lusinghiere sul conto del valoroso estinto".

Nel mese di agosto dello stesso 1915 moriva a San Martino del Carso il tenente Tommaso Rao, colpito alla fronte da una fucilata, mentre al comando della sua compagnia era intento a fortificare la postazione da poco conquistata. Alla sua memoria veniva assegnata la medaglia di bronzo al valor militare, così motivata: "Dimostrava fermezza e coraggio nel dirigere, sotto il tiro dell'artiglieria nemica, il lavoro di riattamento delle trincee di prima linea. Veniva colpito a morte mentre con generose parole incitava i suoi soldati a continuare il lavoro. Sella San Martino 19 agosto 1915". A lui la città natia ha intitolato la centralissima strada che congiunge la via Regina Margherita con il corso Garibaldi.

Altre vie sono state dedicate a valorosi canicattinesi, insigniti della medaglia d'argento, come Eduardo Magrì, Antonio Montante e Rosario Battaglia. Al primo, caduto sul San Michele il 7 luglio 1915, mentre col grado di caporal maggiore lanciava la sua squadra all'assalto, è stata intitolata la via che collega il viale Regina Margherita con il Largo Aosta. Al secondo, bersagliere appena ventenne, che, pur ferito, aveva voluto ritornare in trincea, dove il 27 marzo 1916 veniva mortalmente colpito, è stata dedicata la strada che da via Capitano Ippolito porta in largo Castello. Al terzo, semplice soldato di fanteria, impegnato nella battaglia del Piave, dove, spintosi per primo sulla trincea nemica, veniva il 19 giugno 1918 colpito alla testa, è stata consacrata la traversa che unisce le vie Vittorio Emanuele e Rosolino Pilo.

Nella stessa battaglia del Piave ci rimetteva la vita tre giorni dopo il finanziere Calogero Salvaggio, appena ventenne, appartenente a uno di quei battaglioni della Guardia di Finanza impegnati con l'esercito nella difesa della patria. L'eroismo dimostrato gli valse la medaglia di bronzo. Ma medaglie d'argento o di bronzo e croci di guerra non potevano certamente lenire il dolore delle famiglie dei caduti. Tanti erano poi i morti a cui non veniva dato nessun riconoscimento, nonostante il loro eroismo: si pensi, per esempio, all'ardimento dimostrato dal fante Salvatore Corsello, il quale il 22 ottobre 1917, aggredito da ingenti forze nemiche, piazzò la sua mitragliatrice e resistette da solo per un intero giorno, fino alla morte. Anche il fratello Giacinto fu vittima della guerra, poiché contrasse nel Trentino un'infermità sì grave che lo portò alla tomba subito dopo il conflitto.

Intanto giorno dopo giorno giungevano i nomi di coloro che non sarebbero più tornati: soldato Angelo Aronica, caporale Vincenzo Di Puma, soldato Antonio Greco, caporale Nicolò Villareale, soldato Girolamo Insalaco, caporale Salvatore Di Maria, soldato Vincenzo Petralito, soldato Salvatore Moncada, soldato Luigi Ficili, soldato Antonio Meli, soldato Salvatore Cassaro, caporale Antonio Zucchetto... A quest'ultimo concittadino, appartenente al Sesto Squadrone dei Cavalleggeri di Nizza, è stata dedicata una strada, quella ubicata tra le vie Pitrè e Pirandello. Egli, arruolato nel corpo scelto della Cavalleria, aveva preso parte a tutte le operazioni di guerra svoltesi sull'ampio fronte che andava dall'Isonzo a Monfalcone; ma il 15 maggio 1916 una raffica dell'artiglieria austriaca ne spezzava per sempre il fiore degli anni.

Ce n'erano anche sposati di quelli chiamati alle armi, come Luigi Meli, per esempio, classe 1890, per il quale la partenza fu senza ritorno e l'abbraccio alla moglie e ai suoi tre figlioletti l'ultimo della sua vita; o come Calogero Castellano, anch'egli con moglie e figli, colpito a morte sul fiume Assa; o come Diego La Magra, caduto venticinquenne sul Monte Corno con il pensiero rivolto all'unico figlioletto; o come Pietro Bonsangue, che a Monfalcone il 18 settembre 1916 lasciò un tenero orfano e una povera vedova. A lui, umile muratore e semplice soldato, venne assegnata alla memoria la medaglia d'argento al valor militare. A lui Canicattì ha intitolato il vicolo che costeggia l'ex chiesa di Santa Rosalia e congiunge il corso Umberto con la via Cavour.

Ma l'arteria più importante è stata dedicata al capitano Giovanni Ippolito, morto a trentacinque anni sul San Michele il 6 agosto 1916, dopo essersi guadagnato tre medaglie d'argento. Era nato a Canicattì il 7 maggio 1881, aveva compiuto i primi studi nella città natia e poi aveva conseguito, con il massimo dei voti, il diploma di perito minerario. Con la sua bravura e serietà ben presto aveva raggiunto posti di grande responsabilità, fino a diventare direttore delle miniere di Serradimendola e Ficuzza. E, mentre ricopriva tale incarico, era stato chiamato alle armi e inviato sul Carso, dove, in seguito al tracollo di un intero reggimento, si era assunto il compito, a capo di un battaglione, di riconquistare le trincee perdute, riuscendoci in quattro giorni di aspri e cruenti combattimenti. Ciò gli era valsa la prima medaglia d'argento. Pochi giorni dopo, il 6 giugno 1916, ne aveva ottenuta un'altra; e infine, sempre sul Carso, s'era meritata la terza, ma alla memoria.

Anche alla memoria del tenente Federico Gangitano, figlio unico del generale Luigi, veniva assegnata la medaglia d'argento. Cadeva egli sul campo di battaglia, alla testa del suo plotone, il 2 novembre 1916. A lui Canicattì ha intitolato la strada che dall'incrocio di via Dandolo porta al piano della Badia.

Un altro ufficiale canicattinese, il sottotenente Gaetano Portalone perdeva pure lui la vita, dilaniato da una bomba a mano, il 19 agosto 1917, mentre era impegnato sul fronte dell'Isonzo per la conquista del Monte Santo, sull'altopiano della Bainsizza. Dedito all'insegnamento, aveva dovuto lasciare la scuola, "dove - scrive il prof. Angelo Sardone nel suo Libro d'oro - con fervore di apostolo profondeva tutta la sua bontà e il suo amore alla educazione e all'istruzione dei figli del popolo". Anche a lui Canicattì ha consacrato una strada, quella che unisce le vie Colombo e Caracciolo.

Al canicattinese Vincenzo Fasulo, aspirante ufficiale, è stata invece Ravanusa a dedicare una sua via, poiché in tale città prestava egli servizio di insegnante quando venne chiamato alle armi. Cadeva egli nel Vallone del Carso il 3 novembre 1916, il giorno dopo la morte del tenente Federico Gangitano. Aveva chiesto lui stesso di farsi mandare nelle prime linee dalle retrovie cui era stato assegnato per le sue non buone condizioni di salute. Tra i canicattinesi caduti in guerra ci furono anche dei ragazzi del '99, chiamati a difendere fino all'ultimo sangue la linea del Piave. Il 2 luglio 1918 veniva ferito mortalmente Antonio Bordonaro, il quale si spegneva due giorni dopo nell'ospedaletto di Mogliano Veneto, rivolgendo l'estremo suo pensiero ai genitori affranti, di cui egli era l'unica speranza. Il 4 luglio spirava sul campo di San Donà di Piave un altro diciannovenne, l'artigliere Diego Calabrò. Il 27 ottobre, a pochi giorni ormai dalla vittoria finale, restava sul campo di battaglia, sul Valderoa, un altro diciannovenne, il fante Giuseppe Di Salvo.

Ma il più giovane dei canicattinesi a rimetterci la vita era forse Luigi La Lomia, il quale, essendo nato nel 1900, aveva appena diciotto anni. A stroncarlo non furono le fucilate, ma i patimenti delle trincee, dove il freddo polare disseminava la broncopolmonite a piene mani. E parecchi furono i soldati canicattinesi che, colpiti da tale inesorabile male, si spensero in solitudine nei vari ospedali militari in cui vennero trasportati.

 

Diego Lodato, I Caduti canicattinesi della Grande Guerra, in La Torre, a.XXXVII, n.21, 10 novembre 1991


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