Nel suo editoriale pubblicato sul numero
di marzo 2008 della rivista “il Fante d’Italia”, organo ufficiale dell’ “Associazione
Nazionale del Fante”, il presidente nazionale Vito Titano ha ricordato i valori
di equa e pacifica convivenza tra i popoli predicati da Giovanni XXIII ed
ha auspicato che il mite Pontefice così presente nella memoria e nel cuore degli
Italiani venga affiancato a S. Martino di Tours quale Patrono della Fanteria.
Come Martino, l’antico soldato romano che
divise il suo mantello col povero viandante infreddolito, anche papa Giovanni aveva
conosciuto sia in tempo di pace che di guerra la vita militare e le sue tribolazioni.
Infatti all’età di vent’anni il chierico Angelo Giuseppe Roncalli dovette
interrompere gli studi teologici presso il Pontificio Seminario Romano (allora
chiamato Seminario di S. Apollinare), che frequentava con grande profitto, per
prestare servizio militare nel Regio Esercito Italiano, al posto del fratello
Zaverio che era necessario per il lavoro dei campi.
Così il
30 novembre 1901 il soldato di leva di 1a categoria Roncalli
Giuseppe (con questo nome fu registrato nel foglio matricolare del Distretto
Militare di Bergamo), matricola N. 11331/42, nato il 25 novembre 1881 a Sotto
il Monte da Battista Roncalli e Marianna Mazzola, quarto di tredici fratelli, fece
ingresso nella caserma Umberto I di Bergamo (poi ribattezzata caserma
Montelungo), sede del 73° reggimento fanteria - brigata Lombardia per iniziare
il suo volontariato di un anno.
Nelle
caserme di quel tempo la vita era particolarmente dura per i seminaristi, presi
di mira dai commilitoni e dai superiori, ma alla 8a compagnia il
fante Roncalli ebbe la fortuna di trovare ottimi superiori e compagni d’arme
che lo rispettavano. Le sue giornate trascorrevano tra l’istruzione, i turni di
sentinella e le manovre militari a S. Rocco di Ranica vicino a Bergamo. Passava
le ore libere a studiare in caserma o nel Seminario di Bergamo.
Mentre
era in servizio nel corpo di guardia della caserma la notte del 28 marzo 1902 Roncalli
scrisse al Rettore del suo Seminario a Roma: «Sono qui armato di tutto punto,
chinato su questo foglio, il solo che sia desto in questa bella notte del
Venerdì Santo, in mezzo ai miei compagni di consegna sonnecchianti sui poco
morbidi tavolacci. Godo ravvicinarmi a quei poveri soldati romani veglianti
sulla tomba di Gesù.»
Il 31
maggio 1902, promosso caporale e trasferito alla 1a compagnia,
annotò nel “Giornale dell’Anima”, il diario che con costanza compilò giorno
dopo giorno per 68 anni fino alla morte: «Per me fu un cambio infelice. Forse
l’essere io chierico urta un po’ i nervi al mio nuovo signor capitano, che mi
crede meno amante dell’Italia e delle istituzioni per questo.» Ma Roncalli
seppe compiere bene il proprio dovere, tanto che il 19 luglio 1902 ricevette il
titolo di distinzione di II classe nelle esercitazioni di tiro. In agosto partecipò
alle grandi manovre a Dorga in Val Seriana, marciando zaino in spalla in coda
al reparto con il compito di incitare e raccogliere i ritardatari che non
riuscivano a tenere il passo sotto la canicola.
Alla
vigilia del congedo scrisse che era scampato per grazia di Dio alle fiamme
di questa fornace e che era convinto di aver riportato dal servizio
militare non dubbi vantaggi.
Parlando
ai Cappellani Militari in congedo, che gli avevano fatto visita nei Giardini
Vaticani l’11 giugno 1959, papa Giovanni disse che quell’anno di vero
servizio militare era stato per lui assai utile e fecondo, perché,
permettendogli una vasta conoscenza di persone, in condizioni tutte
particolari di vita, gli aveva dato la preziosa possibilità di penetrare
sempre più a fondo nell’animo umano, con incalcolabile giovamento per la
preparazione al ministero sacerdotale. Epoca dunque di spirituale
arricchimento, a cui si era aggiunta l’opera costruttiva della
disciplina militare, che forma i caratteri, plasma le volontà, educandole alla
rinunzia, al dominio di sé, all’obbedienza.
Venne
congedato il 30 novembre 1902 col grado di sergente. Nel “Giornale dell’Anima” annotò:
«Del 1902 dovrò sempre ricordarmene: l’anno della mia vita militare, anno
di battaglie. Potevo perdere la vocazione come tanti altri poveri infelici e
non l’ho perduta.»
Tornò
subito con rinnovato entusiamo ai cari studi. Il 10 agosto 1904 venne ordinato
sacerdote. Il 9 aprile 1905 mons. Giacomo Maria Radini Tedeschi, nuovo vescovo
di Bergamo, lo chiamò al suo servizio come segretario particolare. Quel compito
segnò la vita, la vocazione, la missione di don Roncalli, che trascorse
dieci intensi anni accanto a quel grande Vescovo. Monsignor Radini Tedeschi, rampollo
di nobile famiglia, sempre attento ed aperto alle problematiche sociali che tanto
drammaticamente andavano emergendo all’inizio del Novecento, gli fece da guida fino
alla morte, avvenuta il 22 agosto 1914, tre settimane dopo lo scoppio della
prima guerra mondiale. Roncalli lo tenne come esempio per tutta la vita.
Il 23
maggio 1915, vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, Angelo Roncalli fu richiamato
alle armi. In partenza per Milano per presentarsi al centro di raccolta per la
mobilitazione nella caserma di S. Ambrogio (destinata dopo la guerra a
diventare sede dell’Università Cattolica), egli annotò nel “Giornale dell’Anima”:
«Domani parto per il servizio militare in sanità. Dove mi manderanno? Forse sul
fronte nemico? Tornerò a Bergamo, oppure il Signore mi ha preparata la mia ultima
ora sul campo di guerra? … penso di mantenermi all’altezza della mia vocazione
e di mostrare a fatti il mio vero amore per la Patria e per le anime dei miei
fratelli. Lo spirito è pronto e lieto.»
Egli
non si preoccupava soverchiamente della sua destinazione, perchè si attendeva
che fosse Iddio a doverci pensare. E Iddio ci pensò. Da un muricciolo, che
taglia le arcate del monastero-caserma di Sant’Ambrogio un sergente vociava: -
Occorrono soldati di sanità per Bergamo; chi è che vuol andare a Bergamo? Così,
dopo solo due giorni trascorsi a Milano, il sergente Roncalli salì sul treno
per Bergamo alla testa di un plotone di 25 uomini, assegnato all’ospedale
militare allestito in una parte del Seminario di quella città. Si ritrovò così,
mutato d’abito, nel grande dormitorio da cui era partito appena tre giorni
prima e dove era stato da ragazzo seminarista.
Diversamente
da altri sacerdoti, Roncalli non cercò di farsi raccomandare come cappellano
militare, ma accettò di buon animo l’umiliazione dell’abito militare secondo
le evidenti disposizioni della Provvidenza e trovò naturalissimo essere sergente,
e nient’altro che sergente. Iniziò così, a 33 anni e 6 mesi, il suo
servizio di sergente nella 3a Compagnia di Sanità.
In gennaio
del 1916 venne trasferito, con gli ammalati, all’Ospedale Militare di Riserva
di Bergamo. In marzo venne assegnato all’Infermeria Presidiaria. Sperava di non
doversi più muovere da quel piccolo ospedale dove, essendo il solo sergente, si
sentiva “dominus loci”, ma già in data 11 dicembre 1915 il Direttore
dell’Ospedale Militare Succursale di Riserva di Bergamo aveva fatto richiesta
al Vescovo di Campo per avere un Cappellano Militare, resosi necessario a causa
del trasferimento dei degenti dell’Ospedale del Seminario nell’Ospedale della
Nuova Casa di Ricovero (detto “Ricovero Nuovo”) e del conseguente aumento dei
posti letto a 1.500. Nella richiesta si proponeva per la nomina il sacerdote
Roncalli. Il 18 febbraio 1916 il vescovo Angelo Bartolomasi, Ordinario
Castrense, inviò da Roma il nulla osta. Così il 28 marzo 1916 don Roncalli ricevette
la nomina a Cappellano Militare, col grado di tenente, presso l’Ospedale Militare
Succursale di Riserva di Bergamo, detto del “Banco Sete” perché collocato nei
locali del mercato della seta in via Broseta. Da giugno del 1917 furono
affidati alle sue cure anche i degenti nel nuovo Ospedale Orfanotrofio di S.
Lucia, dove egli si recava due volte al giorno nonostante la distanza da
percorrere.
Quelli
della Grande Guerra furono gli anni tra i più laboriosi della sua vita e
fra i più densi di esperienza. Le giornate di quel mite e solerte
sacerdote iniziavano molto presto e non conoscevano orari. Oltre al servizio di
graduato di Sanità prestato nei primi dieci mesi, egli forniva assistenza religiosa
e morale ai militari ricoverati ed alle suore di servizio, celebrava la “Messa
del Soldato” nella chiesa di Santo Spirito a Bergamo, teneva spiegazioni del
Vangelo e sei o sette discorsi domenicali, coordinava l’assistenza alle
famiglie dei soldati, agli orfani ed ai profughi e dirigeva l’ufficio diocesano
per la raccolta di notizie sui prigionieri di guerra. Nel 1917 organizzò le
Case del Soldato di via Solata n. 4 e via S. Tommaso, di fronte alla caserma
Camozzi. Nel 1918 fondò la “Associazione tra le Famiglie dei Morti e Dispersi
in guerra”. Come membro esterno della congregazione dei Preti del Sacro Cuore
si dedicava anche all’assistenza agli studenti. Nella primavera del 1918,
obbedendo all’invito del Vescovo che egli accolse col suo solito spirito di
obbedienza in nomine Domini, divenne il fondatore nientemeno e il
direttore di una Casa degli studenti con pensionato, scuole di religione,
ritrovi serali, doposcuola … e il propulsore di un più vasto programma di
formazione e di assistenza alla gioventù studiosa.
Sapeva
penetrare nell’animo della gente, come appare nella cronaca pubblicata da
“L’Eco di Bergamo” della messa da campo da lui celebrata alle 7 del mattino di
domenica 2 giugno 1918 nella piazza di fronte all’Ospedale Maggiore, gremita di
soldati e di borghesi. Il giornale sottolineava l’impressione prodotta
dalle forti ed insieme paterne parole di don Roncalli che ognuno poteva
leggere sugli occhi inumiditi dei presenti.
Contemporaneamente
egli riuscì anche a svolgere altri incarichi: insegnante di filosofia patristica
e di apologetica in seminario, predicatore in vari istituti religiosi e
parrocchie, redattore de “La Vita Diocesana”. Don Roncalli trovò anche il tempo
per scrivere la biografia di monsignor Radini Tedeschi, tributo di
venerazione, riconoscenza ed amore per quel suo amato vescovo, che ebbe
accoglienza e recensioni lusinghiere. Inviò il grosso volume di cinquecento
pagine al nuovo papa Benedetto XV, amico ed estimatore del suo compianto vescovo,
il quale lo ricevette in udienza il 24 settembre 1916 e gli inviò una lettera
gratulatoria.
Il 19
luglio 1918 venne incaricato dell’assistenza ai reduci dai campi di prigionia
rimpatriati per gravi malattie e si dedicò soprattutto a quelli che ritornavano
ammalati di tubercolosi.
Per
il “Te Deum” dell’Armistizio, celebrato nella Chiesa di Santo Spirito a Bergamo
domenica 17 novembre 1918, don Roncalli fece scrivere sulla facciata del
tempio: «Al Dio degli eserciti / invocato / con la invitta fede dei padri /
nella lunga vigilia / negli aspri eroici cimenti / i soldati d’Italia / umili e
fortissimi / dicono grazie / cantano inni di gloria / e di vittoria.»
Il 10
dicembre 1918 venne inviato in licenza illimitata, ma continuò il servizio
religioso nei vari Ospedali Militari. Il 28 febbraio 1919 venne posto in
congedo illimitato.
Alla
sua esperienza di cappellano militare il professor don Angelo Roncalli fece
riferimento nel discorso al VI Congresso Eucaristico Nazionale svoltosi a
Bergamo nel 1920, in cui egli ricordò le lunghe notti vigilate fra i
giacigli dei cari e valorosi soldati e affermò che la guerra, che è
stata e rimane un gravissimo male, aveva tuttavia fornito un grande
assaggio del valore dei popoli, perchè accanto alle bruttezze ed alle
miserie aveva offerto tanti episodi consolanti. Ricordò, commosso,
che molte volte gli era accaduto di doversi buttare in ginocchio e piangere
come un fanciullo, tutto solo nella sua camera, non potendo più
contenere la emozione provata davanti allo spettacolo della morte, semplice e
santa, di tanti poveri figli del nostro popolo, modesti lavoratori dei campi,
… che si spegnevano non bestemmiando al duro destino, ma lieti di offrire la
loro fiorente giovinezza in sacrificio a Dio pei fratelli.
Sul
retro della fotografia di un giovane Alpino, don Roncalli scrisse: «Diani
Egidio di S. Romano di Garfagnana (Verrucole) distretto di Lucca, 3° Artigl. da
Montagna – classe 1898: morto di polmonite violenta e da me assistito
all’Osped. Mil. “Banco Sete” in Bergamo la notte del 19 aprile 1917. Anima
eletta e pura, carattere schietto ed amabilissimo, era troppo degno di abitare
cogli angeli prima che i contatti profani potessero contaminare il cristiano
candore. Nelle ore estreme mi promise di ricordarsi di me in Paradiso.»
Dando
conforto a molti soldati che dovevano compiere, e lo facevano con serenità, il
passo supremo, don Angelo ebbe la possibilità di conoscere la vera anima
della gioventù italiana, i suoi slanci generosi, soprattutto la grande fede.
Il 23 giugno 1917 egli scrisse in una lettera al padre: «…questi cari giovani
soldati non si può non amarli quando si sono avvicinati una volta: e sono tanto,
tanto degni di ogni cura e di ogni conforto.»
Sempre
gli fu cara l’esperienza di buon fantaccino diventato nientemeno che
sergente e il ricordo dei quattro anni di sacro ministero accanto ai
soldati feriti o ammalati o morti, come egli disse ai Bersaglieri in
occasione del loro Raduno Nazionale a Roma nel 1962 con parole spontanee e calde
che si possono oggi ascoltare su internet.
A
distanza di oltre quarant’anni papa Roncalli rievocava quei momenti di grazia
del suo servizio d’ospedale militare, delicatissimo ministero di pace e
d’amore svolto in condizioni spesso ardue e difficili, quando,
rientrato nella sua camera dopo giornate di serrato lavoro, cadeva in ginocchio
e mentre lacrime di consolazione rigavano il suo volto ringraziava Dio per quella
stupenda riserva di energie morali che il popolo italiano custodiva e
tramandava.
Grande
era l’amore di papa Giovanni per l’Italia. In una lettera del 5 dicembre 1917
al fratello Giovanni, anch’egli militare, aveva scritto: «Noi sappiamo che
l’amor di Patria non è altro che l’amore del prossimo, e questo si confonde
coll’Amore di Dio. … Noi facciamo il nostro dovere guardando in alto.» Prossimo
a morire, quell’uomo nato in povertà che aveva conosciuto i sacrifici degli
umili contadini, degli operai e degli emigranti, che aveva visto molti giovani
ventenni strappati dalla guerra alle famiglie e alle speranze del domani, coronò
con un gesto inatteso tutta una vita di fedele servizio all’Italia ed alla
Chiesa. L’11 maggio 1963 papa Giovanni si recò in Quirinale dove abbracciò
il Presidente della Repubblica Antonio Segni, dicendogli in un sussurro commosso:
“A Lei e all’Italia!”. Mentre la vettura, che lo riportava nella camera della
sua agonia, passava per piazza Venezia la sua mano benedicente si levò verso la
tomba del Milite Ignoto. In quel momento gli tornarono davanti agli occhi i volti
dei tanti oscuri soldatini che aveva visto morire e che gli erano rimasti nel
cuore, come l’artigliere Orazi Domenico, spentosi a 19 anni l’8 aprile 1917,
giorno di Pasqua, all’Ospedale Ricovero Nuovo di Bergamo. Quell’umile contadino
con l’anima pura come un angelo che gli traluceva dagli occhi
intelligenti, dal sorriso ingenuo e buono, gli aveva sussurrato: «Per me,
signor cappellano, morire ora è una ricchezza: io muoio volentieri, perché
sento ancora, per grazia di Dio, di avere l’anima innocente.» Un momento dopo
gli aveva ripetuto: «A me, signor cappellano, piacerebbe tanto di morire ora,
così, vicino a lei, in modo che sino al mio ultimo respiro io rimanga tutto del
Signore.» Di quel soldatino don Angelo Roncalli aveva conservato una fotografia,
sul cui retro aveva scritto: «Orazi Domenico di Montegallo (prov. di Ascoli
Piceno), 3° Artiglieria da Montagna, classe 1898. … Anima bellissima e indimenticabile.
Vivi in Cristo e prega per me, come mi hai promesso.» Sull’agenda del 1917 aveva
annotato: «Finchè l’Italia ha di questi figlioli che salgono al cielo non può
dubitare delle benedizioni di Dio.»
Rivolgendosi
ai Cappellani Militari in congedo quell’ l’11 giugno 1959 nei Giardini Vaticani
papa Roncalli disse che indimenticabile fu il servizio da lui compiuto
come Cappellano negli ospedali del tempo di guerra, che gli aveva fatto
raccogliere nel gemito dei feriti e dei malati l’universale aspirazione alla
pace, sommo bene dell’umanità. Mai come allora aveva sentito quale sia
il desiderio di pace dell’uomo, specialmente di chi, come il soldato,
confida di prepararne le basi per il futuro col suo personale sacrificio, e
spesso con l’immolazione suprema della vita.
In
quelle parole sono già presenti i sentimenti che avrebbero ispirato “Pacem in
Terris”, l’ultima enciclica di Giovanni XXIII, pubblicata l’11 aprile 1963,
meno di due mesi prima della sua morte, che inizia affermando che la pace in
terra è l’anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi.
Adolfo
Zamboni
Queste
notizie ed immagini sono dovute alla cortesia dell’Arcivescovo Loris Francesco
Capovilla, il quale per dieci anni fu Segretario di Angelo Roncalli Patriarca
di Venezia e Papa e conserva con amorevole devozione le memorie del Pontefice, custodite
nel paese natale di Sotto il Monte Giovanni XXIII, da cui ne diffonde il
messaggio di amore e di pace.
† In
memoria del tenente di fanteria Adolfo Zamboni del 141° reggimento – brigata
Catanzaro, grande decorato della guerra 1915-1918, ricoverato all’Ospedale
Ricovero Nuovo di Bergamo il 10 dicembre 1918.