Il primato della gastronomia siciliana
La cultura gastronomica e culinaria siciliana è una delle più apprezzate, sia in ambito italiano che a livello internazionale; in genere però si è indagato finora poco sulle origini o le ragioni di questo successo, che, a giudicare dall’attuale interesse per temi legati alla buona tavola, sembra potersi ricondurre ad analoghe esperienze di riscoperta della gastronomia locale individuabile in ogni parte della Penisola. Esiste però una specificità geografica molto ristretta, che non può essere soggetta a generalizzazioni, e che rende la Sicilia una sorta di isola nell’isola gastronomica italiana, isola felice, se vogliamo, in cui la grande varietà di climi, paesaggi, il continuo intrecciarsi di terra e mare, collina e pianura, etc… hanno prodotto uno straordinario impulso alla creatività culinaria, che affonda le sue radici in remote età e culture. Quella siciliana è probabilmente la prima forma storica di cucina italiana, primato che trova remote origini, almeno dai tempi della Magna Grecia.
Canicattì, cittadina che nelle sue ombre e luci rispecchia fedelmente la fisionomia della Sicilia tutta, dal punto di vista gastronomico riflette la stessa, variegata proposta di piatti straordinari e preparazioni uniche, che trovano origine nell’esperienza storica comune a Canicattì e al resto della Sicilia, contrassegnata dall’incontro di popoli e civiltà diversissime e quindi dalla loro multiforme eredità culinaria. Non è azzardato affermare che la gastronomia siciliana sia la più ricca tra quelle presenti nel nostro paese, a causa di moltissimi influssi provenienti da varie parti del Mediterraneo: Grecia, Roma, Francia, Spagna, mondo arabo, etc…
L'influsso della gastronomia greco-romana
La prima civiltà mediterranea ad aver lasciato molti influssi del suo passaggio in Sicilia è certamente quella greca, civiltà che spesso faceva del simposio e del banchetto rituale occasione di dialogo, partecipazione sociale e non casualmente di riflessione filosofica, come si evince dalle opere di Platone e dagli scritti dello storico Tucidide, autore di una storia della Sicilia fino al 425 a.C. Alla comunità greca siceliota dobbiamo il primo trattato organico di carattere gastronomico, Il cuoco siciliano, composto da Miteco di Siracusa nel IV secolo a.C.
La cultura greca accordava un’enorme importanza all’arte della cucina, e ad aspetti ad essa collegata, quali l’ospitalità, la conversazione, la ritualità, etc… uno stile alimentare che fu presto adottato e potenziato. Il già citato filosofo ateniese Platone, operante alla Corte del tiranno di Siracusa Dionisio, nota come i siciliani amassero sedersi a tavola diverse volte al giorno. Si possono ricavare vari indizi dalla riflessione su raffinate abitudini alimentari e la grande abbondanza di prodotti: vino, olio, olive, formaggio, pesce (riscontrabile anche al giorno d’oggi), e carni specialmente selvaggina, in un’epoca in cui la Sicilia era ancora, in certe zone, folta di boschi a causa delle differenti condizioni climatiche ed ambientali. La cucina greca era piuttosto semplice, in quanto le carni e il pesce venivano semplicemente sottoposte ad arrosto o bollitura, e di altre preparazioni si sa molto poco. Più che altro, l’eredità della cultura gastronomica greca riguardò il potenziamento di colture preziose come quella del grano, del mandorlo, dell’ulivo e della vite (il vino siciliano era celebrato per la sua eccellente qualità). In questo contesto relativo all’influenza greca sullal Sicilia agro-alimentare, è da sottolineare come la coltivazione della vite e del suo straordinario frutto, l’uva, rappresenti simbolicamente e simbioticamente Canicattì non solo in prospettiva enogastronomica, ma come ragione economica di benessere e sostentamento. È possibile tuttavia risalire alla paternità greca di alcune preparazioni ancora in uso nella gastronomia siciliana, come agnello alla brace, ricotta salata, olive e miele. Di derivazione romana sono le seguenti pietanze: seppie ripiene, cipolle al forno, e "macco" (a Canicattì e nel resto della Sicilia “maccu”) un purè di fave condito con olio d’oliva crudo e servito di solito con la pasta.
L'influsso della gastronomia araba
La civiltà araba offrì un contributo notevole alla trasformazione delle abitudini culinarie e alimentari dei siciliani, nel senso di una cultura gastronomica riconoscibile, unica ed inimitabile. La gastronomia siciliana può essere definita figlia di quella araba, a patto di considerare questo rapporto di filiazione semplicemente come un’eredità, un retaggio, e quindi rivendicando la paternità di ricette di derivazione araba ma che sono comunque frutto di elaborazione autonoma nelle cucine dell’isola. L’influsso arabo è evidente in pasticceria, nella rosticceria tipica, e nell’aver imposto delle materie prime completamente nuove: agrumi (arance, limoni, mandarini, cedri) spezie (chiodi di garofano, cannella, zafferano, etc…), zucchero, e riso, indispensabile ingrediente degli arancini, sorta di polpette di riso ripiene con ragù di carne o mozzarella e prosciutto, che deriva da analoghe preparazioni arabe. Alle dominazioni successive (Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli, etc…) portarono diverse novità, ma non della importanza delle innovazioni di origine araba, che riguardarono principalmente la pasticceria, una delle ragioni di vanto della nostra gastronomia, senza dubbio la più celebre. La pasticceria tradizionale siciliana ha prodotto degli autentici gioielli gastronomici. I primi prodotti da ricordare sono il sorbetto e il gelato; il sorbetto prende nome dal termine arabo sharbat, ed era originariamente preparato con neve ed essenze di fiori o succo di frutta; il gelato nasce nel ‘600 come logica conseguenza. Altri dolci di derivazione araba sono la Cassata siciliana, la cubbàita, il torrone alle mandorle, mentre preparazioni autoctone (cioè tipicamente siciliane) sono i cannoli e i ravioli ripieni di crema alla ricotta. Una cosa molto interessante riguarda le origini della pastasciutta, che secondo nuove ricerche fu proprio creata in Sicilia, da precedenti elaborazioni arabe tipiche del Medio Oriente e del Maghreb. Il termine siciliano in uso anche a Canicattì, maccaruna, risale al verbo latino maccare, che significa: schiacciare il frumento al fine di impastarlo. In conclusione, si può dire che la gastronomia araba ha impresso una grande rivoluzione dei sapori, che ha influito sul DNA della cucina siciliana più di quanto in genere si pensi.
Canicattì ai fornelli
Abbiamo visto nelle linee generali i fondamenti della gastronomia regionale siciliana, che rinviano a diverse tradizioni presenti nel Mediterraneo. Queste stesse tradizioni hanno fornito materie prime e preparazioni specifiche ai principali piatti in uso anche attualmente a Canicattì. Parleremo brevemente di alcune pietanze tradizionali, cercando di rinvenire archeologicamente la loro storia, che presenta interessanti ed insospettabili collegamenti con la cultura gastronomica mediterranea. Degli arancini, dei dolci tipici e delle altre preparazioni di origine araba si è già detto, tuttavia ci sono dei piatti che affondano le loro radici in altre aree aventi avuto in passato contatti con Canicattì e la Sicilia tutta. Scontate le influenze della gastronomia spagnola, per es. nell’adozione di materie prime quali il cioccolato, il pomodoro e la melanzana, provenienti dal Nuovo Mondo dopo, ma anche in due preparazioni ormai tradizionali come il Pan di Spagna e il falsomagro (in siciliano farsumagru), principale pietanza di carne della cucina siciliana, che consiste in un rollò di vitello farcito con mortadella o prosciutto, uova sode e formaggio, che si prepara in giorni di festa particolarmente solenni, e le cui origini sono aragonesi. La cucina canicattinese rispecchia sostanzialmente quella siciliana, e, nonostante Canicattì non sia proprio sul mare, dà molta importanza anche a preparazioni a base di pesce, come la pasta con le sarde, da noi canicattinesi chiamata “pasta alla milanisa” con termine di misteriosa etimologia, spaghetti conditi con sugo di pomodoro, sarde, finocchietto selvatico, uvetta e pinoli. La fedeltà di Canicattì alle abitudini alimentari dell’isola è comunque relativa, in quanto ci sono degli usi e dei costumi gastronomici peculiari, che purtroppo nel tempo si vanno perdendo in nome di una globalizzazione culinaria, la quale ridimensiona la grande ricchezza dei piatti tradizionali a discapito dello spirito di un’intera comunità locale, spesso depositaria di valori culturali unici, non riconosciuti come tali e per questa ragione disprezzati invece di essere strenuamente difesi. Speriamo che la consapevolezza del problema riesca a salvare dall’oblio autentici monumenti della cultura gastronomica siciliana tipici di Canicattì e del suo hinterland.
Domenico Turco