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Apocrifi di Diego Guadagnino

Prefazione di Gonzalo Àlvarez Garcia



Circa tre anni fa durante la presentazione dì "Trasmutazione", sua opera prima, paragonavo la poesia di Diego Guadagnino a quella del grande poeta spagnolo Miguel Hernandez, martire della democrazia, morto nel 1942 nelle carceri franchiste.

Il paragone mi era stato suggerito dalla metrica, che tutt'e due usano con maestria e con garbo, preferendo l'assonanza antica al più moderno verso libero. E citavo le parole che Miguel Hernandez aveva scritto come preludio al suo libro di poemi "Vientos del pueblo", pubblicato nel 1937: "Noi siamo nati poeti tra gli uomini.. .Sgorghiamo da una sorgente di chitarre che le mani del popolo hanno accolto sempre con passione. Siamo il vento del popolo. Veniamo al mondo per soffiare attraverso i pori della sua pelle, per condurre i suoi occhi e i suoi sentimenti fino alle cime più alte e belle... " Dicevo allora che Diego Guadagnino è un poeta.

Tutti sanno che la poesia è un prodotto poco commerciabile. Nessuno si azzarda a esporla avventatamente sulle bancarelle accanto ai seriosi saggi, ai ponderosi romanzi, agli arguti racconti gialli.

Nessuno le cuce addosso un'etichetta col prezzo di mercato.

Tutti, però, sanno anche che della Poesia non possiamo farne a meno..., che ai piedi di ogni secolo che il popolo attende l'arrivo di un libro di Poesia come si attende l'arrivo dell'arcobaleno, della rugiada o del nido di un airone.

"Apocrifi", la nuova raccolta poetica che Diego Guadagnino ci offre oggi, ha tutti i pregi della prima, ma è diversa. Più meditata, più sofferta, più intimista. Basta toccare con le dita i fogli del libro ! Si sente subito l'odore, e persino la musicalità di vecchie e recenti letture, di lunghe meditazioni sul significato del destino individuale. Dalla citazione di Seneca, che Guadagnino sceglie come lemma della raccolta, alle citazioni, numerose, ma implicite, del grande filosofo spagnolo-olandese del Seicento Benito Espinosa. Si percepisce in lontananza il fragore del combattimento, dell' "agonia" che l'Io intimo del poeta sostiene per rimanere ancorato all'armonia totale della Natura.

"Deus sive natura" aveva affermato Benito Espinosa. Giorni fa di buon mattino, avevo messo in tasca gli "Apocrifi" ed ero uscito per rileggerli di fronte al mare. C'era la calma delle prime ore; la luce era quasi quella dell'alba. E io lasciavo scorrere lo sguardo sui versi del poeta, sull'azzurro del mare, sui gabbiani che planavano sullle onde. E da ogni parte mi giungeva, pacato, l'invito a osservare le cose provvisorie con l'occhio equanime dell'Eternità. Soltanto il Tutto ha un significato. I frammenti non sono che apparenze. Passa lo sguardo del poeta sulle cose minime, sfiora i fiori, gli odori..., galleggia sulle incerte sensazioni intime, sul grigiore dei giorni, sulle apparenti contraddizioni dell'essere...

Cerca il poeta una vita che possa essere Una, come il mare o il monte... Passa lo sguardo del poeta.. .rubricando l'indescrivibile fugacità dell'Eterno, l'incredibile eternità del i ransitorio... br>
Nostalgie oraziane..., saggezza di Seneca..., geometrico misticismo di Espinosa... ? "La Natura, cioè, Dio!" Vanno e vengono i pensieri mentre l'anima scivola sui versi di Guadagnino. Forse la suprema verità della vita consiste in ciò che alcuni usano chiamare menzogna? Forse l'infìnitudine del mondo consiste nell'identità tra il soffio di vento e il polline che trasporta, e non sa dove? Forse il tempo irrequieto e fuggevole non e altro che un contrassegno dell'Eternità? Di ritorno a casa consultai la posta elettronica. C'era un messaggio di Guadagnino che spiegava come gli era nata la raccolta Apocrifi e diceva, tra l'altro: "Il titolo "Apocrifici" è spinoziano..... Non riconosco al male un'entità autonoma. Lo considero alla stregua di Spinoza quando negl'Etica scrive che la conoscenza del male è conoscenza inadeguata, errore di prospettiva..."

E anche quella del bene, caro Guadagnino! Sin dall'inizio dei tempi i grandi Dottori ci hanno insegnato che ciascuno di noi è un Microcosmo, un piccolo Centro dell'Universo, un primogenito destinatario finale della Creazione... E così, vittime di un narcisismo forzato, riempiamo la nostra povera testa di antropomorfismi, di errori di prospettiva: bene-male, bello-brutto, gradevole-nauseabondo... La verità è che non siamo il centro di niente. Siamo molto di più: una particella del Tutto. Un frammento di Natura, cioè, di Dio.

Gonzalo Àlvarez Garcia


solfano@virgilio.it

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