Leggende tratte da: Angelo la Vecchia - "Storia tradizioni e varia umanità", Ed. Meta, Canicattì, 1995
IL CASTELLO DI CANICATTÌ
Sul castello di Canicattì si narrano diverse leggende: si narra che al posto del castello l’emiro del tempo, signore invincibile della terra di Canicattì, si era costruita una fortezza in tutto simile al Castelluccio di Racalmuto, ma dotato di una serie di cunicoli comunicanti addirittura col castello di Delia, col Casale di Naro, con Agrigento; in uno di questi cunicoli l’emiro nascondeva i suoi tesori, che sono rimasti sotterrati e tenuti in custodia da “spiriti arabi”.
Lu trisoru di Troia
Questo tesoro non si sa dove sia. Per riscattarlo -dice il popolo- bisogna trovare sette lanni di assoliu (petrolio) ittati rnunnu munnu. La prima è pedi Carlinu, località a sud-est di Canicattì, sullo stradale che porta a Campobello. Sopra ogni cassa di latta è stampata una troia ed una lettera: tutte e sette formano un nome che indica il luogo dove il tesoro è nascosto.
LA MADONNA DEL LATTE
Sulla chiesetta rurale di contrada Gulfi si raccontano alcune leggende gentili e molto significative. Una, la più bella, narra di un bovaro-agricoltore, che nel corso di una brutta annata siccitosa, colpito da grave carestia, non riusciva a sfamare la numerosa prole; era disperato perché le cavallette e la siccità avevano distrutto il suo raccolto.
Mentre conduceva due magre mucche al pascolo, le due bestie fuggivano in direzione della rocca, parevano impazzite; andarono a fermarsi proprio ai piedi della roccia, ma in un modo così strano da sembrare in ginocchio. “Voh! Voccà!” gridò con stizza il contadino, incitando le bestie a colpi di verga. Le vacche si stettero immobili, non solo, ma a seguito di una violenta vergata colpirono il contadino agli occhi con uno schizzo di latte caldo. Si segnò felice, si pose in ginocchio, pregò piangendo; poi incitò dolcemente le mucche ad alzarsi per avviarsi alla stalla. Trovò la moglie che pregava con i figli attorno; munse tanto latte da riempire secchi e tinozze; e tutti mangiarono a sazietà e fecero formaggio.
Si recarono poi alla roccia con un piccone per fare una piccola grotta, ma al primo colpo di piccone la roccia si spappolò scoprendo una bella immagine scolpita, con la Madonna che allatta il Bambinello, che chiamarono “La Madonna del latte”, e vi costruirono una chiesetta in onore di Maria, che ancora si ammira.
LA FIERA DI VITOSOLDANO
Ogni anno, in una serena notte di agosto, a mezzanotte in punto, il piano adiacente alla grotta di Vitosoldano si popola di una strana e ricchissima fiera, dove si vende tutto per poco, tutta merce di oro zecchino. Un bovaro vi capitò nel bel mezzo mentre inseguiva le mucche fra le stoppie riarse; e non gli pareva vero tanto splendore offerto da strani mercanti.
Si tastò nelle tasche, frugò con ansia, e vi trovò appena un grano: “con questo che ci posso comprare?”, pensò. Offrì la monetina ad un venditore di arance, che dal mucchio gliene porse due belle grosse. Quale non fu la sua sorpresa quando si accorse che le due arance parevano proprio d’oro; e si avviò a casa, a Borgalino, con una certa curiosità gioiosa. E quando apprese che potevano avere un valore rilevante, si recò dal signore del luogo per farle valutare. “Che te ne fai, sciocco!” gli disse quello, “non è roba per te. Se me le dai ti ricompenso con argento, col quale potrai curare il tuo figliolo”.
Aveva il figlio ammalato il bovaro, e aveva proprio bisogno di denaro per curarlo, e cedette le sue arance d’oro per poche monete d’argento. Questa leggenda viene legata al fatto storico della dominazione araba, ricordando, con le arance d’oro, l’amaro destino dei contadini, costretti a barattare il frutto delle proprie fatiche con molto poco, e viene narrata con diverse varianti. Si narra che l’annuale fiera incantata “deve essere posseduta solo da tre fratelli, tutti nati di venerdì, possidenti di tre cavalle bianche”.
Ancora su Vitosoldano si narra che nella grotta più grande della collina si nasconde un tesoro custodito da un “mago infernale saraceno”, pronto a punire gli incauti con una specie di legge del contrappasso. Enrico Cacciato, poeta parnasiano, ne fece una bella poesia su una signora vanitosa e desiderosa di ricchezze, che si recò alla grotta per conquistare il tesoro; il mago saraceno volle vedere il figlioletto della donna, che acconsentì con vivo entusiasmo; ma quando giunse di fronte al mago il bel bambino le fu cambiato in fantoccio aureo!
(Da "Canicattì - storia tradizioni e varia umanità", Ed. Meta, Canicattì, 1995).