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UN VENERDÌ SANTO “BAROCCO” E “ANDALUSO”

Nella nostra Sicilia il periodo pasquale vede un susseguirsi di festeggiamenti, riti e tradizioni per alcuni aspetti più pagane che cristiane e che ricordano molto da vicino le cerimonie della semana santa che hanno luogo in Spagna, soprattutto in Andalusia e nel suo capoluogo Siviglia. Lo stesso termine dialettale simana santa è del tutto identico all’analoga espressione spagnola. L’ispirazione andalusa e barocca delle rappresentazioni per il venerdì santo può trovare conferma anche a Canicattì e dintorni, con spettacolari cerimonie che dominano il ciclo delle feste pasquali, il quale prende avvio con la Domenica delle Palme.
Fino ai primi del Novecento la benedizione delle palme era monopolio esclusivo della Chiesa Madre; questo era motivo di grande confusione. Infatti moltissimi fedeli si accalcavano, cercando di raggiungere l’altare maggiore facendosi avanti a furia di calci e spintoni. Un tempo sempre per la Domenica delle palme era molto sentita l’usanza della Dimostranza, una sorta di dramma sacro che ripercorreva l’episodio evangelico dell’ingresso di Cristo nella città di Gerusalemme.
Secondo la testimonianza di un anonimo la rappresentazione, in cui protagonisti erano dei “giovanetti d’età di dieci anni circa” , avveniva così: un ragazzino usciva cavalcando un somaro usciva dalla Chiesa Madre, seguito dai dodici apostoli con una tunica bianca da prima comunione e da un corteo formato da gente comune, che si accodava dietro i rappresentanti del Clero e la confraternita che organizzava la Dimostranza, e, insieme, giravano “in processione per il paese”.
In occasione del Giovedì Santo i fedeli si recavano nelle varie chiese della città per visitare li sapurchi, dei piatti votivi in cui vengono disposti teneri steli di grano intrecciati a forma di minuscole croci. Li sapurchi venivano preparati circa venti giorni prima del Giovedì Santo, favorendo la germinazione delle piantine di grano in contenitori pieni di paglia, in una stanza scura, così da far assumere la tipica colorazione giallo-pallida. Tutti restavano stupiti di fronte ai fiori variopinti, alle luci colorate e ai “sipurchi”, disposti a mò di aiuola intorno a un’urna o a una croce nella cappella del Sacramento.
Almeno fino a circa ottant’anni fa, per Giovedì Santo e nella sola chiesa del Carmine, un monaco seduto nella parte centrale della navata, somministrava a scopo di penitenza dei colpi di bacchetta sulle mani dei fedeli in cerca di redenzione. Ma, come in moltissime altre località della Sicilia, le tradizioni più importanti sono legate alle cerimonie del Venerdì Santo, giorno della scinnenza (la deposizione). In tal giorno è d’uso consumare la pasta alla milanisa, cioè spaghetti con sarde e finocchietti selvatici, e condita con la muddricata, mollica di pane secco fritta e grattugiata.
La processione parte nei pressi della Chiesa di San Diego. Una volta la processione era un evento solenne e particolarmente amato dalla comunità, e suscitava aspre contese anche in seno alle confraternite, decise ad accapararsi i posti più ambiti. Attualmente la processione della scinnenza è molto ordinata; i vari gruppi parrocchiali, le congregazioni religiose e gli ordini conventuali sfilano in adorazione innanzi all’imponente simulacro di Cristo con la croce in spalla. Dietro procede la gente comune e la banda che intona marce d’ispirazione funebre. Protagonisti di un tempo erano li lamentatura, un gruppo di persone che levavano lugubri lamenti di commiato per la morte di Cristo, misti a versi. Ne riportiamo alcuni, come i seguenti: Cristu ca pi la morti stava partiennu e pi lu munti Cravaniu si nni iva, oh! chi pisanti cruci ca purtava: tuttu lu munnu ‘ncueddru tiniva! (Cristo che per la morte stava partendo/e per il monte Calvario se ne andava/oh! Che pesante croce portava:/tutto il mondo su di sé sopportava!).
I cori dei lamentatura, non sono importanti solo sul piano religioso ma anche dal punto di vista antropologico, come espressione dello spirito di un’intera comunità.
Nel 1725 tali lamenti furono ufficialmente banditi per iniziativa dell’allora vescovo di Agrigento, mons. Anselmo La Penna, che in quell’anno fece una visita pastorale nella nostra città. Tuttavia, a dispetto del provvedimento, la tradizione è perdurata fino a pochissimi anni fa.
Li lamentatura danno il meglio di sé giunti a Piazza IV Novembre, punto dove s’incontrano i simulacri di Cristo, della Madonna, di San Giovanni Apostolo e di Maria Maddalena. Al calar delle tenebre è il momento della scinnenza vera e propria, letteralmente la “discesa”, cioè la “deposizione” di Cristo dalla croce. La processione, accompagnata dalle marce funebri della banda musicale e dal clamore della folla, giunge finalmente al Calvario. Due sacerdoti salgono le scale che portano al Cristo crocifisso intonando dei salmi e accingendosi a liberare il simulacro dai chiodi che lo tengono e a deporlo.
La processione riprende al seguito dell’urna di Cristo e le altre tre statue dell’Addolorata, della Maddalena e di San Giovanni. In sottofondo le musiche solenni e lugubri della banda e le litanie funebri dei lamentatura che perdurano fino alla mezzanotte, l’ora che conclude le cerimonie del Venerdì Santo con la spartenza, cioè la separazione. La processione torna al punto in cui aveva avuto inizio, innanzi alla Chiesa di San Diego.
Qui l’urna di Cristo, e i simulacri della Madonna, di San Giovanni Apostolo e della Maddalena sono trasportati verso l’ingresso della chiesa di San Diego, dove avanzano e tornano indietro più volte, a significare la volontà dei vari protagonisti del dramma della passione di non separarsi.
È il doloroso distacco, l’elaborazione di un lutto espressa in maniera simbolica e molto pregnante. Alla fine l’urna del Cristo rientra nella chiesa insieme al simulacro di Maria Addolorata, ancora una volta i due non riescono a separarsi, e vengono così sballottati avanti e indietro.
A conclusione della lunga giornata della scinnenza le varie statue riccamente addobbate e vestite tornano nelle loro chiese dove resteranno per un altro anno, fino alla prossima processione.
Il simulacro della Madonna rientra così nella chiesa di San Biagio, quello di San Giovanni alla chiesa dello Spirito Santo e Maria Maddalena alla chiesa del Redentore.
Collegato alle cerimonie del Venerdì Santo è la rappresentazione del mortorio. Nella nostra città il dramma della Passione di Cristo si rappresenta praticamente da sempre; nel Settecento lu mortueriu avveniva all’aperto, di fronte alla chiesa di San Diego.
Un tempo per il mortorio si rappresentava un lunghissimo dramma in versi in tre atti , Il riscatto di Adamo, scritto da un autore palermitano, il poeta Filippo Orioles. La rappresentazione durava un’intera nottata, per cui si rese necessario ridurla a quattro ore. Nel 1950 si rappresentò il mortorio adottando un nuovo testo in prosa, scritto da Angelo La Vecchia di cui ci siamo occupati nel precedente numero. A rappresentarlo ci pensò il G.A.D, Gruppo Attori Dilettanti, sotto la supervisione di Angelo La Vecchia, che aveva scritto La passione di Cristo proprio in sostituzione del vetusto testo dell’Orioles, e di cui fu realizzata un’interessante versione musicale.
Tornando agli aspetti più propriamente religiosi, anche se nel senso di una religiosità popolare ingenua e sognante, val la pena di ricordare un’altra tradizione, ben più divertente e simpatica. Come si sa, Sabato Santo è il giorno della Resurrezione, liturgia che da mezzo secolo a Canicattì si celebra nelle ore notturne; tuttavia prima di allora si celebrava il Sabato mattina. Si vedevano frotte di ragazzini che bussavano con dei bastoni alle porte della città, al grido di “Niesci, diavulu, ca trasi Gesù”, a cui si rispondeva battendo dei rametti di vite e strillando di rimando “Niesci fora, malu natu, ca Gesù è risuscitatu”.
Il giorno di Pasqua si festeggia con un pranzo solenne, in cui protagonista è l’agnello o il capretto a forno e alcune verdure di stagione, come i carciofi. Per la Pasquetta o Pasqualuni vari decenni fa era in uso fare dei pic-nic in aperta campagna nelle belle contrade di Canicattì ormai invase dai vigneti e prive di spazi alberati come un tempo. Ma i festeggiamenti più grandi sono riservati alla scinnenza, il nostro Venerdì Santo, andaluso e barocco, pagano e cristiano, antico e sempre nuovo, nel segno di una continuità tra passato e presente capace di far rivivere oggi tutta la magia e il fascino di un mondo che fu.

di Domenico Turco


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