Questa leggenda fu per la prima volta accuratamente raccolta e pubblicata dal prof. Mattia Di Martino, premessavi una breve e dotta nota storica su Motyum e l’identificazione di questo col feudo di Vitusullanu[4].
Mi permetto di ripubblicarla in grazia di nuove aggiunte che, credo, la
completano e migliorano.
E’ questa la leggenda canicattinese più organica e più bella che io conosca.
I.
Nel feudo che si chiamò poi di Vitu - Sullanu regnava una volta con leggi crudeli un re saraceno, Vito Soldano, il quale condannava i suoi sudditi a morire entro un vitello di bronzo. Il ricordo di Falaride mi pare evidente.
Questa sorte toccò ad una fanciulla ed il vecchio padre per avere giustizia ricorse in Francia a re Carlo Magno. In quella corte il vecchio fu battezzato e preso nome di Fortunato, guidò Orlando paladino contrò Vitu - Sullanu. Viaggiarono e viaggiarono giorni e giorni e infine ristettero assetati in una pianura ma, per un miracolo, videro spuntare fra i loro piedi un ceppo di fico ed Orlando lo taglio con la spada e ne venne fuori una polla freschissima d’acqua. Orlando chiamo la pianura Rivinuta, onde poi Rivinusa, (Ravanusa)[5].
Guidati da Fortunato, Orlando e l’armata si avviano verso il feudo di Vitu – Sullanu. Stanchi, non volendo superare una montagna che ancora ne li divideva, Orlando trasse la spada e vi apri un varco Quella terra si chiamà la purtedda d’Orlannu.
Faccio osservare che questa località è a nord ovest del feudo di Vitusullanu, mentre Ravanusa resta diametralmente a sud-est di esso; e mi permetto di ricordare col chiar. mo prof. Di Martino la nota del D’Ancona comunicata alla R. Accademia dei Lincei su le tradizioni carolingie in Italia[6], per ciò che i riferisce alle localizzazioni della leggenda d’ Orlando.
Intanto nel campo del re saraceno un mago predicava la venuta di Orlando e la prossima strage. E il domani Orlando comincia la battaglia, terribile, atroce (stragi di li Saracini). Re Sullanu spariva nelle profondità d’una grotta per non comparire più mai, i saraceni nello scompiglio si seppellivano vivi. Non tutti però, che aggiunge il popolo, inesauribili schiere d’armati saraceni sbucavano fresche, senza mai fine; dalle grotte sotterranee, e già annottava ed era incerto l’esito della giornata.
Orlando -come nella leggenda dianzi narrata delle armi del Conte Ruggiero- chiese allora alla Vergine che il sole restasse solo mezz’ora sull’orizzonte, e vinse. Una notte intera ed un giorno il fiume corse rosso di sangue, e la valle, per la gran carneficina, si chiama anche oggi carnara.
Di li, Orlando passò a Naro uccidendo tutti quei saraceni che non si volevano rendere cristiani, e tra questi quel re Fluri. Dopo tre giorni incontrarono una donna che pasceva gran quantità di pecore: Orlando la diè in isposa a Fortunato e lo nominò re di tuttu lu statu di Vitusullanu.
Ricordo che Ruggiero, con privilegio dato in Girgenti 1 Marzo 1087 dona tutti i beni posseduti dall’emiro Melciabile Mulè, signore di Canicattì e Ravanusa, al cugino Salvatore Palmeri, che lo aveva snidato ed ucciso[7].
Indi, in un altro feudo a sud-est di Canicattì, a Firlazzanu, Orlando sconfigge altri saraceni, fa battezzare i vinti e per la via infine di Trapani si riduce a Parigi.
II
I tesori di Vitusullanu fan venire l’acquolina in bocca al popolo, ne svegliano la fantasia e la cupidigia. Un contadino andò una volta a far visita a lu gran Turcu e questi gli chiese se fosse stato disincantato lu munimientu di Vitusullanu. No! - gli risponde quello; ed il Gran Turco: - Sicilia povera!
Sul poggio di Vitusullanu ogni sette anni, dalla mezzanotte alle sei ore del mattino, si svolge una fiera meravigliosa. Animali grossi e piccini, greggi intere, galline, conigli, oche, uccelli rarissimi e stoffe d’Oriente, aratri e strumenti diversissimi, di legno, di ferro mai visti, stoviglie e quanto può occorrere in una casa, frutti e formaggi: ogni ben di Dio insomma. Ma non si sa con precisione quando avvenga. Un giorno, sull’imbrunire, a un villano che pasceva i buoi del barone Adamo, fuggì una vacca. Egli l’inseguì e correndo di luogo in luogo si ridusse in una gran pianura, dov’era una fiera grandissima. Si vendevano arance e li Jardinara a gran voce lo invitavano a comprarne; ma il povero contadino non aveva che un granuzzu sulu e con questo comperò tre arance. Dopo un’ora tutto era sparito per incanto e il povero sciocco si trovò tutto solo nella pianura. Le tre arance erano tutte oro fino, ma egli che non ne aveva viste mai così, tornato in paese, raccontò tutto al padrone che se le fece dare regalandogli solo due onze.
Il guaio è che s’ignora quando cada la fiera, benchè, per altro, per disincantare il tesoro occorra lu sangu di setti ‘nnucenti.
Si potrebbe, per sapere la data, andare quattordici anni di seguito a mezzanotte, per la festa di San Diego (ultima domenica di Agosto), soli; senza mai voltaisi indietro, a Vitusullanu. L’ultima notte il Gran Turco fa trovare la fiera e se si dice: cu stu granu mi accattu tutta sta fera per incanto tutto diventa d’oro, cadono nei profondi d’inferno gli spiriti che vi stanno a guardia, e il tesoro è disincantato.
Altro mezzo sarebbe che tre fratelli a cavaddu a ‘nna tridenti andassero all’insaputa di tutti, sulla mezzanotte, alla grotta e girassero li senza fiatare intorno alla caverna, nel buio. I saraceni urleranno come dannati e poi con una spada tagliente daranno la morte ad uno dei fratelli, in tanto che gli altri non muoveranno un lamento, si mostreranno anzi contenti. Così i superstiti potranno godere i tesori.
III
Ma sinora nessuno è riuscito. Ora per l’inavvedutezza di chi non ha obbedito ai comandi degli spiriti e non è andato solo, onde trovava un callaruni chinu di scorci di vavaluci; ora la paura ha fatto retrocedere atterrito l’audace; ora esso è morto nelle profondità della grotta; ora è riuscito appena a trovare la via del ritorno per narrare l’agghiacciante suono delle catene che ivi si ode, la furia diabolica del vento che spegne tutte le torce, la visione macabra degli spiriti nani, cu li birrifteddi russi ‘ntesta accovacciati su botti piene d’ oro.
Una volta due fratelli, attrattivi dagli spiriti, entrarono nella grotta di Vitusullanu. Entrarono fino alla terza stanza (le stanze sono sette) e videro prima due giganti con in mano mazze di ferro e sotto i piedi, gettato a profusione ammonticchiato l’oro e poi un cavaliere a cavallo, tutto di bronzo, armato tutto, con la visiera abbassata. Atterriti rinculano, escono e ritornano al paese febbricitanti: dopo tre giorni morirono.
Ho vista la grotta. E’ bassa, piccola, non ha nulla di caratteristico: si appartiene ora al Sig. Niccolò Lombardo, che l’ ha adibita per stalla.
Il contadino che m’accompagnava, mi indicò in un angolo un gran buco murato, d’ onde s’accedeva più addentro nella grotta.
C’era una volta, -mi narrò un altro contadino- una signora bella come il sole, ma vanitosissima. Essa andò un giorno dal Gran Turco a chiedere un diamante per la sua gulera. Quegli comandò ad un saraceno che andasse subito a prendere, dalla cuna ove dormiva, un bimbetto della donna, e come 1’ebbe -fu in un attimo- lo toccò con la sua verga incantata e il tenerello divenne di smeraldo, perle i dentuzzi, turchesi gli occhi, le labbra di corallo ed i capelli d’oro fino di Francia.
Con una catena d’oro lo appese sul petto alla madre che era svenuta e che non potè più mai uscire dalla grotta. Ed è sempre là, col figliuoletto fatto pietra preziosa appeso al collo, fuori di sè dal dolore, e il Gran Turco la dileggia senza cessa: - piangi la tua vanità.
(Da, C. A. Sacheli, "Linee di di folklore canicattinese", Acireale, Tipografia popolare, 1914).
Note
[4] VITUSULLANU nella storia e nelle credenze popolari Canicattinesi. Archivio, vol IX pp. 20 216 Palermo 1890.
[5] Cfr. Dott. F. LAURICELLA. Ricerche storiche su Ravanusa.
[6] Roma, Tip. dei Lincei, 1889. passim.
[7] Ex libris privilegiorum exentibus poenes acta U. C Spectabilium Juratorum huies fuimae civitatis Nari extracta est.